sabato 11 dicembre 2021

Hel

 



Certe persone entrano nella nostra vita in punta di piedi. Se ne restano lì, a fare da sfondo, mimetizzandosi con la carta da parati appesa alle pareti del nostro cervello, e che ci siano o meno non fa poi una grande differenza. Altre, invece, ci impattano contro come grandine su un parabrezza. Grandine grossa come una palla da tennis, di un auto che va a duecento chilometri orari. Il vetro si frantuma in una ragnatela di crepe, che tu stai a fissare col terrore che il prossimo chicco sarà l'ultimo che sarà in grado di contenere, prima di esplodere in centinaia di piccoli pezzi. Ammetto di aver sempre avuto un debole, per questo tipo di persone. Forse perché anche io mi sento un chicco di grandine, o perché sono sempre stata molto brava a rompere le cose. O a far saltare i nervi. Anche solo lanciando un paio di noccioline nelle pupille di uno sconosciuto maleducato. Che qualche giorno dopo ti offre persino un lavoro. 

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M: Pensi sia una buona idea lavorare con qualcuno che ti mette a disagio?

H: Non mi metti a disagio.

M: Ieri sera non sembrava.

H: Sono stronzo col mondo intero, non solo con te.

M: Sembravi nervoso. E stronzo. Sei nervoso col mondo?

H:  Sì. In più odio il tuo taglio di capelli, ok?

M: Sei stato picchiato da bambino da una tizia coi capelli a caschetto, vero? Succede. Le bambine sanno essere cattive.

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Anche i bambini, sanno essere cattivi. Specie i bambini che non hanno alcun motivo per giocare con te. O semplicemente per intrecciare un rapporto che non vada oltre lo sterile scambio di informazioni, dati e lavori. Quelli che non ci pensano due volte a sostituirti, perché un professionista vale l'altro, e chi se ne importa se gli impegni presi non vengono rispettati? Stupido, idiota, violento. Bugiardo. Stronzo, stronzo, miserabile stronzo. E stronza io, che perdo tempo dietro ad un tossico, aggressivo, rabbioso, sordo, cieco, chiuso. Un muro, lui è un muro, e la scema che ci sbatte contro e che rischia di essere afferrata alla gola sono io. Idiota, coglione, stupido. In due minuti mi ha sostituita. Come se fossi un pezzo rotto, un fusibile difettoso, una presa bruciata. Che poi non è tanto quello, a darmi fastidio, ma il modo in cui ha liquidato le mie ricerche, la mia parte di compenso. Perché non gliene fotte niente di me, del perché lui abbia ricevuto un certo incarico, di quanto mi faccia male quello che mi è successo e di quanto sia importante trovare una quadra a quello che è capitato. E poi è evidente che con lui non ci possa essere il minimo dialogo, la minima attività in comune che vada oltre il rapporto professionale, neppure un accenno di svago, un'interazione divertente. Semina vento, raccoglie tempesta, e gli sta bene così. Nessun problema, mi è bastato stasera per convincermi del tutto della fondatezza del mio sospetto che fosse una pessima persona. Ma rosico comunque, perché me lo aveva anche detto in effetti, ero stata avvisata. Ed io come una cretina ad insistere, a rimanere gentile, a tentare di essere socievole. No, un momento. Non sono io, la cretina. Il cretino è lui, che non sa distinguere i differenti piani, che vede i discorsi leggeri come una piaga d'Egitto e che gode nel farsi gettare merda addosso. Cretino. Stupido. Coglione. Col cazzo che ti parlo di nuovo. Ho sbagliato a chiedergli di infilarsi 100 dollari in monetine nel culo, dovevo dirgli di impalarsi con il computer. In orizzontale. Stronzo.

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[Se non presente in ufficio, Margot verrà contattata dalla sua segretaria, che la informerà della presenza di un pacco a lei destinato, abbastanza grande e pure pesantino. Se aperto, al suo interno la ragazza vi troverà un computer: esattamente lo stesso modello che ha spaccato solo un paio di sere prima. Non è però l’unica cosa contenuta lì dentro (a parte lo scontrino in caso di necessità, ovviamente). Infatti Margot dovrebbe facilmente riconoscere un peluche a forma di drago, al quale è stato attaccato un piccolo biglietto con la scritta “Porterò a termine il mio lavoro”. C’è dell’altro...un grosso salvadanaio pieno zeppo di monetine (ecco spiegato il reale peso del pacco). Un altro bigliettino su quest’ultimo: “100$ avevi detto, se non ricordo male, giusto..? Ti conviene lavarli”]


Margot resta per un po' di tempo a fissare il contenuto del pacco, senza dire nulla. Solleva l'indice della destra a grattarsi il lato sinistro del naso, che arriccia leggermente. Gli occhi restano fermi sul computer, scivolano sul drago e sulle monetine. La stessa mano si piega a raccogliere i post it. Li  legge entrambi, sfogliandoli. L'ultimo, suo malgrado, le fa inarcare un sopracciglio. 

"Pam. Prenota un corriere, per favore" 

Torna a sedersi sulla sua scrivania. Allunga la mano verso della semplice carta da lettere, ed inizia a scrivere. Poi apre il cassetto, preleva il blocchetto degli assegni, ne compila uno. Si rialza, rimettendosi vicina al pacco. Sistema al suo interno lettera e assegno, tira fuori il peluche a forma di drago che va a gettare nel cestino sotto la scrivania. Imballa nuovamente lo scatolone, e attende che Pam venga a prenderlo e lo porti via. Si siede sulla chaise longue del suo studio e rimane lì a fissare il vuoto. Dopo un po' solleva la testa, gli occhi si posano sul drago che sembra guardarla. Si alza in piedi, va a recuperarlo dal cestino. Lo fissa senza dire nulla, tenendolo tra le mani. Poi lo getta nuovamente nel cestino ed esce dalla stanza. 

Diverse ore dopo torna nel proprio ufficio con addosso il cappotto, recupera la borsa e il cellulare, si volta per uscire. Si ferma. Si gira di nuovo, avanza verso il cestino, recupera il peluche, infilandoselo nella borsa, e richiude la porta alle proprie spalle. 

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E' stata una notte stranissima. Non riesco mai ad abituarmi del tutto al modo in cui la vita, in un battito di ciglia, rivolti le cose e le stravolga, dia loro significati nuovi. E' un po' come con le ombre cinesi. Si tratta sempre della solita combinazione: mani, lenzuolo bianco, luce puntata contro. Ma spostando il polso, sollevando il pollice, intrecciando le dita, facendo gesti anche minimi, ne vengono fuori immagini completamente diverse e si animano mostri, figure, racconti. E' sempre Helmut, quello dietro al mio "lenzuolo" metaforico, è la sua ombra però ad essere completamente diversa. Non riesco a dormire ripensando un po' a tutto, mi giro e rigiro in questo letto rivivendo ogni istante come un fotogramma. Dalla vaga sensazione di smarrimento e nausea, nel ritrovarmelo accanto quando il ciccione è uscito dall'ascensore all'attacco di panico nel momento in cui si è bloccato. A lui che mi abbraccia da dietro, quando inizio ad iperventilare, e che cerca di calmarmi quando prendo a calci l'ascensore come un gatto isterico chiuso in una scatola radioattiva. Mi è rimasto impigliato addosso il suo odore, lo sento incastrato tra i capelli e sulle guance, le stesse che ho nascosto tra le sue braccia, cercando di non pensare che ero bloccata, costretta, imprigionata. Cercando di pensare che fosse tutto voluto e calcolato, che non era un'incidente, mi ci ero chiusa apposta li dentro. Ha un odore buono, rassicurante, maschile ma non aggressivo. Non ci avevo mai fatto caso prima, forse perché non eravamo mai stati così fisicamente vicini, o forse adesso lo percepisco in questo modo solo perché ha provato a farmi stare meglio. Non mi ha lasciato a boccheggiare sul pavimento, a gestire in autonomia la crisi, anzi mi ha quasi spaccato un timpano mentre urlava contro l'assistenza tecnica al telefono...ma è un dettaglio trascurabile. Assurdo questo uomo. Un giorno prova ad afferrarti alla gola, l'altro giorno ti ricorda di respirare per evitare di star male. Un giorno sembra che tu sia l'ultima delle merde e che non gli interessi niente di te, quello dopo ti bisbiglia che andrà tutto bene, e ti culla come una bambina. Ad una prima generica e superficiale occhiata sembrerebbe bipolare o schizofrenico, ma un'analisi più attenta mi porta a credere che non sia cosi. Che ciò che mostra sia solo la punta dell'iceberg e gran parte di ciò che è veramente, di ciò che sente, dei motivi che lo rendono cosi e della sua vera natura siano sepolti a fondo, sotto il pelo dell'acqua. Sono le quattro. Non dormirò mai. 

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H:   Pensavo che...sarebbe meglio stipulare un contratto tra me e te, se ti sta bene. Dopotutto si tratta di cose confidenziali che i clienti sottopongono alla mia attenzione. Che ne dici?

M: Va benissimo. Hai già una bozza?

H: In realtà no. Vedrò di buttarla giù entro breve. Pensavo di offrirti una cena. Se ti va.

M: Ok, cos'è successo?

H: Niente. Ne ho semplicemente voglia. Se ti secca non ci sono problemi

M: Mi hai ripetuto fino alla nausea che non devo socializzare con te, ora mi vuoi invitare a cena. Non mi secca, mi perplime. Dove?

H: Lo so, sono peggio di una donna in menopausa con ancora le mestruazioni. Il dove lo lascio scegliere a te. Hai carta bianca. Ma...sappi che ho voglia di guardarti. Come indizio su cosa scegliere da indossare.

M: Ok, dove sei? E' evidente che è successo qualcosa. Hai scoperto di avere una malattia terminale?

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"Dove la porto signorina?"

Bella domanda. Ho un attimo di vuoto mentale, subissata da altri pensieri. Resto per un po' a guardare il tassista negli occhi dallo specchietto retrovisore, anche se in realtà visualizzo altro, e alla fine balbetto l'indirizzo di casa. Lui ingrana la marcia, il mezzo si muove, ed anche se sono lontana per qualche minuto sento ancora Helmut nei pressi, vicino, come fosse seduto accanto a me e non in piedi sul marciapiede. Poggio la fronte contro il vetro del finestrino cercando disperatamente un po' di refrigerio. Mi scotta la fronte, mi scotta la lingua, mi scotta...tutto. Mi ha baciato. Si è piegato in avanti e mi ha preso la bocca con la sua, la mano aggrappata alla mia coscia a stringere la catenina gioiello, e una confusione improvvisa di consistenze e salive. Il sapore, di una persona, è un po' come l'odore. Puo esserti odioso sin da subito o intrigarti, in una sorta di imprinting chimico. A me il suo sapore piace. Piace da morire. E in fondo un po' me l'aspettavo, che stasera non avremmo semplicemente firmato contratti e cenato. Insomma, guarda come mi sono vestita. Pure sta cazzo di giarrettiera di metallo, che me la sono messa a fare? Lo sapevo perché il tenore dei messaggi in questi giorni era cambiato, si erano fatti scambi più densi, più intimi, come due persone sedute alle estremità opposte di una panchina che gradualmente avvicinano le mani, fino a toccarsi con la punta delle dita. E' successo, ed è subito finito. Un minuto prima respiri che si confondono, quello dopo lui è già in piedi a lasciarmi disorientata, perplessa. Cos'è che dice? Che va via? Se mi serve un passaggio?

Mi serve che torni qua, che rimetti la bocca dov'era prima, e anche la  mano...magari un po' più in alto.

Aria, ho bisogno d'aria. Mi conosco, sento l'adrenalina schizzarmi da un neurone all'altro, e so che farò una sciocchezza. Si, me lo sono detta anche allo specchio, mentre mi preparavo, che stavo a confezionare una cazzata. Così, mentre una parte di me si sforza di rimanere posata, coi piedi per terra, consapevole e distaccata, l'altra ormai è lanciata, come un cane felice privo di collare e lasciato libero di correre. Anche adesso che metto distanza tra noi due, che recupero il cappotto e con una certa fretta scivolo fuori, che cerco aria fredda per spegnere l'incandescenza delle guance, che il mio cervello mi ripete a manetta che è tutto insensato, sciocco, controproducente. Sbagliato. Anche adesso, io lo so che quel bacio ha innescato un conto alla rovescia, come una scintilla vicino alla miccia, lo so che dentro di me - come sempre - raziocinio a passione stanno giocando a braccio di ferro e che - come sempre - è questione di momenti ma sarà l'ultima a vincere. Ed infatti. Di nuovo la sua voce, dietro di me. Non ci provo neppure a fingere di controllarmi. Mi lascio andare, e sputo fuori tutto quello che sento ribollire nel cervello, d'un fiato, come si mandano giù gli alcolici troppo forti.

«Domani sarò a New Orleans. Ci starò tutto il giorno, forse anche lunedì. E terrò il telefono staccato. So che la tua è solo una pausa, e non ho voglia di rinunciare al nostro rapporto. Il contratto te lo firmo digitalmente, che ora si è fatto tardi e...non è il caso, e per quanto mi riguarda quando ricomincerai a ringhiarmi addosso andrà bene comunque. Mi andava bene prima, andrà bene anche dopo. E so anche che non è giusto che io ti forzi a fare una cosa che non vuoi, che ti viene difficile o che ti causa brutti pensieri. Ma...so anche che hai cominciato tu, per primo, e voglio finire io ora. E che adesso, per la prima volta da quando ti conosco, farò qualcosa solo per la voglia di farlo, e non perché reputo sia necessario farlo. Per te, me o entrambi. Qualcosa per appagare i miei di desideri, mettendo per un attimo da parte tutto. Perché questo momento è mio, lo voglio, e non mi importa nulla di ieri o di domani. E perché non c'è da pensarci troppo, c'è solo da agire di pancia, certe volte. E dopo ti prometto che non darò mai peso a questa cosa, che non ti chiederò nulla, né pretenderò che tu cambi, che tu rinunci alle puttane, alle tue punizioni. Giuro che è solo ora, adesso, e...e se ti va bene ok, se non ti va bene è ok uguale» 

E stavolta lo bacio io. Mi aggrappo a lui, e lui dopo un po' si aggrappa a me, e ci spostiamo verso il muro. La testa registra una vaga sensazione di leggerezza quando mi solleva, le gambe si allacciano automaticamente attorno ai suoi fianchi, i mattoni impattano contro la mia schiena e lui impatta contro me.

Ciao gravità, è stato bello.

Per qualche minuto ci mangiamo e basta, ci frughiamo addosso in maniera più consapevole, più pressante. Ho dato un calcio in culo alla vocina dentro di me che bisbigliava quanto fosse inappropriata questa cosa e ho accolto con entusiasmo commosso questo miscuglio di eccitazione, fame e frenesia che mi sta trasmettendo. Dura un po' di più, è vero, rispetto a prima. Ma si interrompe anche questo e rimaniamo ansanti a guardarci, vicini, labbra contro labbra. Per la prima volta in mesi lui mi vede, non si limita a guardarmi. In questi occhi di un celeste stemperato nel verde, come alcuni tratti di mare in inverno, vedo il mio riflesso, il suo bisogno, ed il mio. E...guarda un po'. Per una volta, coincidono. 

Si però, soldato, se mi guardi cosi...tra poco chiamano la buoncostume. Io ti avviso.

Niente, sono di nuovo a terra, e di nuovo snocciola frasi leggere che edificano muri, costruiscono fossati e alzano ponti levatoi tra noi due. 

"Mi mandi completamente fuori di testa...fuori controllo"

Perché, tu no? No...dico. Ti sei accorto che ero aggrappata ai tuoi fianchi, contro il muro di un ristorante? Ti sembro una persona controllata, in questo momento?

"Ma sarebbe come...come buttarti via...se dovessi cedere con me"

L'unica cosa che vorrei buttare via, adesso, sono i miei vestiti. E anche i tuoi. 

"Dio...Sto per impazzire, te lo giuro....E’ meglio che vai, okay. Non sprecare tempo con me" 

Nessun momento goduto è un momento sprecato. Questo ancora non lo hai capito. O forse non te lo hanno mai insegnato. Te lo insegno io, ragazzone, vuoi? Prendiamo questo tempo e rendiamolo veramente utile.

E niente. Alla fine sono sul taxi. 

Tassista, inverti questa macchina. Lascia perdere sta scema. Te lo spiego io, dove dobbiamo andare. E spieghiamo meglio anche a lui due cosette. Torniamo indietro.

Zitta Margot, zitta. Socchiudo gli occhi, il cuore che continua a martellare, gli ormoni in subbuglio e questa vocina nella testa che continua ad incitarmi e che non riesco a fermare. Che mi rimprovera, che recita novene di rimpianti. Sospiro, gettando fuori anidride carbonica, vapore acqueo e una quantità assurda di frustrazione e scazzo. Il taxi prende un dosso e la mia tempia da un colpetto un po' più forte contro il vetro. Cerco di tirare le fila di quello che è successo, e di cosa succederà domani. Mi convinco, in qualche modo, che dopotutto è stato solo un bel momento e che, come tante cose, è giusto che rimanga solo...un attimo appunto. Qualcosa di irripetibile, di piccolo.

Ma che piccolo. L'hai sentita la sua erezione, no? Non era piccolo.

Zitta Margot. Non è il momento. Sta zitta. Non devi fiatare. Goditi queste briciole, perché non ci saranno altri dolcetti per stasera. Raddrizzo la schiena, risollevo le palpebre. Vedo l'insegna sbilenca e un po' zozza di un minimarket sfilarci davanti. 

"Si può fermare lì, per favore? Faccio subito".

Adesso ci compriamo già una bottiglia e ti do da bere. Mi do da bere. Stemperiamo nell'alcol questo assurdo sapore di rimpianto e smettiamo di pensare a cosa sarebbe potuto esserci, accadare. Riflettiamo dottamente su tutti i problemi che ha quest'uomo, e su quanto sia il caso non dargliene altri. E non darne a noi. E' stata una bella serata, e ci siamo mangiate pure un assaggio di dolce. E l'amaro, alla fine, fa parte del menù no? Serve a pulire la bocca e a facilitare la digestione. E domani avremo tanto da fare per digerire cose ben più grosse di un paio di mutandine rimaste su. Ti concedo altri quattro pensieri sconci, cinque non di più, finché non arriviamo a casa. Dopodiché impacchettiamo sensazioni e cuore, stampiamo biglietti di non ritorno, partiamo per New Orleans e dimentichiamo. E ricordiamo. Ci stai?

Va bene. Ci sto.

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